Durante la mia carriera di logopedista ho seguito e cercato di aiutare, a volte con successo, a volte senza, decine di bambini autistici e le loro famiglie.
Raramente, o forse mai, ci si sente all’altezza di questo compito. Per quanto preparati si possa essere, per quanti corsi, master e pratica si possano fare, l’autismo ci mette continuamente alla prova e ci pone difficoltà sempre nuove. Chi dice il contrario sta prendendo in giro voi e se stesso.
Le teorie, i metodi, le cure che vengono fuori ogni giorno, confondono famiglie e specialisti. Chi cerca di tenersi aggiornato si ritrova sempre più in balìa di nuove “Verità” che verranno dimenticate dopo breve tempo per lasciare spazio alla nuova scoperta e al metodo migliore.
Ho visto famiglie spremute economicamente ed emotivamente; specialisti seri aiutare veramente e ammettere i loro limiti quando non sapevano cosa fare.
Ho visto ciarlatani senza scrupoli approfittarsi delle speranze dei genitori e, oltre a proporre metodi falsamente innovativi o vere e proprie fandonie, li ho visti accanirsi contro i parenti, colpevoli di non aver favorito i miglioramenti del loro figlio, di non aver seguito adeguatamente i loro dettami (ovvero, non aver sborsato abbastanza soldi).
Ho visto “professionisti” spacciarsi per logopedisti improvvisando trattamenti privi di fondamento e preparazione. Ho visto supervisori azzerare e ricominciare da capo programmi di trattamento perché, fino ad allora, non erano stati loro a seguire il bambino (come se, cambiando maestra, una classe dovesse ricominciare a imparare l’alfabeto perché non è stata lei a insegnargli a leggere).
Ho visto famiglie, ignare, coinvolte in trattamenti appartenenti ad approcci in contrapposizione tra loro, li ho visti palleggiati da uno studio/associazione/centro all’altro. Ho visto terapisti e medici farsi la guerra tra loro e diffamarsi a vicenda per accaparrarsi una famiglia.
Ho visto chiedere cifre imbarazzanti per visite di pochi minuti; ho visto promettere la guarigione; ho visto camere iperbariche; glutatione; diete; chelazioni; apparecchi ortodontici speciali; massaggi….
Ho visto rimedi dare buoni risultati con uno e non con un altro bambino.
Ho visto insegnanti di sostegno totalmente privi di esperienza, spaventati e frustrati. Ne ho visti alcuni forti e motivati, altri, infastiditi e inadeguati.
Ma soprattutto ho visto i bambini, e mi sono chiesta, mille volte, cosa vedessero loro…
GRAZIE
Oggi chiodini colorati, ancora, mi ha messo davanti i chiodini da infilare nei buchi seguendo un ordine alternato. Odio infilare i chiodini. Infilo chiodini da quando avevo tre anni nove mesi e cinque giorni. Una volta ho provato a farle capire che non mi piacciono i chiodini, ma siccome non avevo usato un modo “adeguato” (così ha detto alla mamma), me li ha rimessi davanti finché non ho finito la fila. Poi per trentasei giorni due ore e dodici minuti non li ha più presi, ma un giorno li ha ritirati fuori e mi ha detto “lo so che non ti piacciono, ma devi imparare”.
Non dovevo imparare, lo so fare da quando avevo tre anni nove mesi e sette giorni.
Quando cambiavo l’ordine dei colori era per noia. Ma lei non poteva saperlo, non c’era quando avevo tre anni nove mesi e sette giorni. Lei è arrivata quando avevo sette anni tre mesi e diciotto giorni e le hanno detto che non sapevo farlo bene, se cambio l’ordine dei colori dicono che non ho “appreso correttamente”.
Ricordo quando c’era quella che mi faceva fare cose strane, io mi sentivo strano. Voleva che imitassi tutte le mosse e i gesti che faceva e quando imitavo bene e da solo, mi dava in cambio un cioccolatino o le patatine. A me piacciono tanto i cioccolatini, ma non li mangio più, da tanto.
Oggi non ha una buona giornata. Una settimana ogni ventotto giorni è nervosa e allora m’innervosisco anche io. Le sue mani sono elettriche e quando mi tocca ho fastidio, la sua voce è più veloce e stridula. Ha meno pazienza. In quei giorni lei dice alla mamma “Oggi non ha una buona giornata”, io…
La mia mano non la smette di battere sotto la sedia, a lei questo non piace, non piace a nessuno, ma io non riesco a dirlo alla mia mano, a volte batte tanto da farmi male, ma lei non la smette. Una volta mi sono anche ferito, adesso ho la pelle così spessa che non si rompe.
Un maestro una volta ha provato a legarmi la mano. La mano si è fermata, ma non mi è piaciuto, così la volta dopo ho cercato di fargli capire che la mia mano non voleva essere legata, ma lui l’ha fatto lo stesso. La mia mano è stata legata complessivamente per ventitre ore quindiciminuti e otto secondi. Un giorno, quando è arrivato in classe gli ho morso la mano. Lui ha detto che l’avevo aggredito senza motivo.
Dicono che non comunico, ma comunico miliardi di cose. Non parlo. A volte la mia bocca produce parole a caso, loro pensano che stia chiedendo qualcosa e si affrettano a trovarla. Ma la mia bocca ripete i suoni, non comunica. Io comunico.
Oggi c’era la nebbia. Non mi piace la nebbia, non riesco a vedere il nostro percorso in macchina e questo mi innervosisce, allora cerco di calmarmi, dondolando, mi cullo. All’altra maestra, quella del centro, non piace quando dondolo, lo sento da come mi carezza le spalle. Ma alla mamma non da fastidio, quando vede che mi cullo mi parla dolcemente e indovina sempre perché mi sono innervosito così mi racconta qualcosa. Oggi non vedevo la strada con la nebbia e la mamma me la raccontava. Mi ha raccontato quando siamo passati davanti al giornalaio e quando abbiamo svoltato alla quarta traversa, all’incrocio tra il negozio di animali e la merceria, quella dove il nonno mi comprava gli elastici, mi piacciono gli elastici. Poi gli hanno detto che non doveva più comprarmeli.
Adesso c’è la pausa e lei ha tirato fuori i biscottini a forma di stella, non mi piacciono i suoi biscottini a forma di stella, ho paura che le punte mi feriscano la bocca e poi, quando li mangio mi sento strano. Quando mangio i biscotti normali mi sento sempre strano. La mamma ha detto che non devo mangiarli e compra dei biscotti speciali solo per me. Ma a scuola a volte non li hanno e mi danno i biscottini a forma di stella. La mamma ha detto che una volta ogni tanto non fa niente, ma io dopo mi sento strano. I colori intorno a me diventano più forti e le cose si allungano e a volte si muovono. Le voci degli altri bambini mi fanno più male alle orecchie e a volte mi spavento. Mi fanno venire da vomitare i biscottini a forma di stella, ne ho già mangiati complessivamente settantotto dall’inizio dell’anno.
La mano non la smette di battere e lei mi dice con calma di metterla sul banco. Oggi non ha una buona giornata, la mia mano ha stretto la sua, ma a lei non piace, mi dice che non devo farle male, che non si fa. Io non volevo farle male. Volevo stringerle la mano perché ha una brutta giornata e quando la mamma mi stringe a me piace. Ma a lei non piace, dice che le faccio male.
A volte puzza, suda tanto, altre volte ha un buon profumo di fiori. Quando è allegra mi rilasso.
Ora è arrivata l’altra maestra. L’altra non mi piace, puzza di minestrone e mi fa fare sempre le stesse cose.
Da quando è arrivata lei ho ricominciato da capo e devo mettere insieme le forme e i colori, come quando avevo quattro anni due mesi e ventidue giorni. Dicono che non ho imparato bene e che devo iniziare un nuovo programma da zero.
Ogni anno arriva una nuova e dice che bisogna ricominciare da zero. Perché se avessi imparato tutto nel modo giusto, adesso parlerei. Così, sono cinque anni un mese e dieci giorni che infilo chiodini e appaio forme e colori.
Una volta è arrivata una che mi piaceva, mi faceva usare le figure per dire le cose che la mia bocca non diceva. Non ci riuscivo sempre, ma lei era calma e le piacevo. A tanti non piaccio. Piacevo anche al dottore simpatico che mi vedeva ogni tanto. Aveva uno strano orologio infilato nella tasca dei pantaloni, attaccato ad una catenella. Lo tirava fuori e lo metteva sul tavolo, tutte le volte, nello stesso modo. A me piacciono le cose che si ripetono, mi fanno sentire al sicuro. Lui lo sapeva e la sua voce era dolce come quella della mamma.
Un dottore, quando avevo sei anni due mesi e sedici giorni ha detto alla mamma che sarei guarito. Ho iniziato di nuovo a infilare chiodini e appaiare forme e colori. Mi massaggiavano la bocca e la lingua e a me faceva schifo, ma se mi muovevo urlavano tanto forte da farmi male alle orecchie. Quella volta il dottore disse alla mamma che non potevo più mangiare cioccolata e biscotti normali, che il nonno non doveva comprarmi gli elastici e che il papà non doveva accontentarmi quando, nel “nostro codice segreto” (così lo chiamava lui), gli chiedevo di uscire con la bici o di farmi il solletico. Poi papà se n’è andato via e adesso lo vedo poche volte. Mi porta al cinema, mi piace il cinema. Mi porta a mangiare nella pizzeria dove fanno la pizza speciale e poi mi riporta a casa.
Non sono guarito come diceva il dottore che rideva sempre. Lui ha detto alla mamma che non era stata brava, che non ha seguito bene il programma. Mamma ha pianto tanto. L’ho sentita ogni notte per settantadue notti di seguito.
Io vorrei dirle che non importa, che a me la nostra vita piace così. Che mi basta la sua voce calma e paziente.
Vorrei non andare al centro e vorrei che non venissero a casa nostra per insegnarmi ancora a mettere le macchinine con le macchinine e gli animali con gli animali. Ma devo iniziare il programma di nuovo. Perché la mia mano a volte fa come gli pare anche se io so che le macchinine vanno con le macchinine e gli animali con gli animali.
Ma se la ragazza scrive nella tabella che ho fatto un errore, vuol dire che non ho imparato.
Non ho mangiato i biscottini a forma di stella e la maestra che puzza di minestrone sbuffa, ha provato a ficcarmene uno in bocca, poi si è girata e se li è messi in bocca tutti lei. Tanto spazio ce n’è li dentro…
Ora devo fare tratteggi per scrivere i nomi degli animali, ma la mia mano odia le penne, non riesce a stringerle per molto tempo, dopo un po’ le fa cadere. Quando succede mi legano la matita alla mano. Non mi piace quando legano la matita alla mano. La mano si addormenta tutta e non si tira su. La maestra minestrone allora mi prende la mano e la muove per fare i tratteggi e scrivere i nomi degli animali. Io vedo solo puntini e lineette. Ma loro dicono che sono i nomi degli animali.
Dicono che non so leggere, ma leggo da quando avevo quattro anni otto mesi e due giorni. È la mia bocca che non dice quello che leggo.
Quando mi mettono davanti le sillabe scritte nei cartoncini, la mia bocca fa il verso della scimmia, io mi diverto un sacco quando la mia bocca fa così. Le maestre no. Dicono che non sono divertente e che lo faccio apposta. Dicono che “provoco”.
A volte, quando non c’è niente da fare, ho paura. Sento il mio corpo che si scioglie e che dilaga in tutto il pavimento, così mi muovo, per sentirlo, per sentire che c’è, che non si sta sciogliendo. Salto, dondolo avanti e indietro, corro di qua e di la. Ma le maestre dicono che non si fa, che così non va bene.
Adesso la “maestra minestrone” si sta bevendo il caffè e parla con il maestro di ginnastica e io sento che il mio corpo si squaglia. Lei mi dice di stare fermo, ma non ci riesco, allora la mia bocca si mette a suonare. La “maestra minestrone” mi guarda male. Mi conosce da sessantaquattro giorni nove ore e trentasette minuti e mi odia da sessantaquattro giorni nove ore e trentotto minuti.
La mia bocca suona e lei continua dirmi di smetterla di strillare. Se potessi lo direi alla mia bocca, ma non lo so come si fa. Se ci fosse la mamma troverebbe di sicuro il modo di farla smettere, ma io non lo so.
È tornata la mia maestra che oggi non ha una buona giornata, mi ha accompagnato al tavolo e mi ha dato un puzzle da fare. È uno nuovo, finalmente, mi è bastato dare un’occhiata alla scatola e l’ho fatto. Tre minuti e quarantaquattro secondi. La maestra lo guarda e sorride.
Vorrei dirle “Grazie”. Io amo i sorrisi. Sono la cosa più bella che esista, ma non come quelli del dottore che diceva che sarei guarito. I sorrisi belli, quelli veri.
Vorrei dirle grazie e vorrei dirlo anche alla mamma e al nonno per tutti gli elastici che mi ha comprato anche se gli hanno detto che sbagliava, vorrei dirlo al papà, per il nostro “codice segreto” e anche per il cinema e la pizza speciale.
Non so dire “grazie”. Potrei provare a scriverlo al computer. Sul tavolo c’è un computer acceso, ma io non posso usarlo.
La maestra che non ha una buona giornata è all’armadio e la “minestrone” sta leggendo il giornale.
se le mie gambe si alzano piano piano non si gireranno.
Ora mi siedo davanti al pc. La maestra quando scrive apre sempre il disegnino azzurro.
Ecco una pagina bianca, troppo bianca, la luce dello schermo è forte e lampeggia, la mia mano deve muoversi piano. Ce la posso fare. Devo scrivere alla maestra, alla mamma, al nonno e al papà. Ce la posso fare a schiacciare la G.
Ecco, ora però la mano vuole battere sotto la sedia. La maestra è ancora all’armadio a scegliere il gioco e la “minestrone” si sta addormentando.
Posso battere sul tasto della R, ce la posso fare e la A non è lontana, ma la mia mano ha schiacciato la D e la S. devo usare il tasto che la maestra usa per cancellare. Mano, fai la buona, mano fai la brava. La mamma riesce a far fermare la mano. Posso farla fermare anche io.
Dopo la A la Z è facile, è proprio sotto, che fortuna, adesso la I che è più lontana, mano, mano, va tutto bene, così dice sempre la mamma, “va tutto bene”.
Ecco la I.
La “maestra minestrone” si è accorta che sono al computer, mi chiede cosa penso di fare e… spegne il monitor.
Mi ha tirato per un braccio e io l’ho tirata per i capelli. Il professore di ginnastica mi ha preso da dietro e mi ha spinto sulla sedia del mio banco. Lei mi ha tirato il braccio, io le ho tirato i capelli.
La mia bocca suona forte e la maestra grida più forte. L’altra maestra cerca di calmarla.
Voglio la mia mamma. Manca ancora un’ora dodici minuti e ventuno secondi.
Di nuovo i chiodini, odio i chiodini, ho imparato a metterli in fila a tre anni nove mesi e cinque giorni.
La maestra che non ha una buona giornata ha acceso lo schermo e ha trovato il mio messaggio. Mi sta guardando e ride. La sua faccia è tutta piena di risata. Non è più una giornata non buona, continua a guardarmi e adesso è andata a chiamare un’altra maestra e le sta facendo leggere il mio messaggio. Quello che ho scritto per i suoi sorrisi, per la dolcezza della mamma, per gli elastici del nonno e per il codice segreto, il cinema e la pizza speciale del papà. Adesso lo leggono e non sanno perché e a chi l’ho scritto, ma sono tutti felici. Tranne la maestra “Minestrone” che se ne sta in disparte, con la faccia seria.
Annachiara Alletti
Il segreto di ogni relazione sta nella capacità di ognuno di noi di mettersi nei panni degli altri ed immaginare cosa prova, cosa sente l’altro…..questo vale e deve valere con tutti … Con i genitori quando parliamo dei loro bambini, con i bambini dislessici che hanno dubbi ed incertezze su tutto e naturalmente con tutti i bambini che non riescono a comunicare: brava non è facile pensarla così ….. Un abbraccio Annalisa
Pingback: AUTISMO | Annachiara Alletti
come sempre riesci a penetrare nella mente di chi ti è vicino. E’ un dono naturale e tu l’hai indirizzato allevato e d utilizzato. felici i bambini che ti incontrano e pure le madri apprensive o comprensive . sciocchi coloro che frappongono formalità e norme al libero uso di questo tuo magico dono. ma io lo so che alla fine riuscirai a trovare la strada perché tanti bambini ti aspettano ed a loro non interessano le regole. forza Zia LU.